L’idea nasce dai due fondatori Davide Storino e Luca Costamagna per trovare, almeno in parte, una soluzione allo sfruttamento ambientale e all’inquinamento prodotti dagli allevamenti intensivi di animali.
Nella seconda metà del Novecento il consumo di carne pro capite in tutto il mondo è più che raddoppiato, insieme alla crescita della popolazione, passata da 2,7 a oltre 6 miliardi di persone: di conseguenza, il consumo globale di carne è aumentato di 5 volte, passando da 45 milioni di tonnellate all’anno nel 1950 a 233 milioni di tonnellate all’anno nel 2000. Nei paesi industrializzati mediamente si consumano 224 grammi di carne pro capite al giorno (circa 80 kg l’anno a persona). E il consumo globale di carne continua a crescere rapidamente: solo dal 2007 al 2008 si è passati da 275 a 280 milioni di tonnellate di carne prodotta in tutto il mondo, e la FAO ha stimato che entro il 2050 si arriverà a 465 milioni di tonnellate. Anche la produzione di latte, secondo le previsioni, è destinata a crescere velocemente, passando da 580 milioni di tonnellate del biennio 1999-2001 a 1043 milioni di tonnellate entro il 2050.
Gli animali allevati, per svilupparsi, vivere, crescere e produrre, naturalmente hanno bisogno di nutrirsi. Le risorse alimentari consumate da questi animali sono però maggiori di quante essi ne producano sotto forma di carne, latte e uova destinati al mercato: gli allevamenti, così come li ha definiti l’economista Frances Moore Lappé in Diet for a small planet, sono “fabbriche di proteine alla rovescia”.
Altra problematica importante è il consumo d’acqua:
L’impronta idrica (ovvero il volume totale di acqua dolce impiegata per produrre un prodotto) della produzione globale dei prodotti animali nelle diverse fasi produttive – dall’irrigazione del foraggio all’allevamento dell’animale fino alla preparazione del prodotto finito – è stata stimata, nel periodo 1996-2005, in 2422 miliardi di metri cubi l’anno, una quota che rappresenta circa un quarto dell’impronta idrica globale.
Come affermato dalla FAO, «l’evidenza suggerisce che il settore dell’allevamento è la più importante fonte di inquinamento delle acque, principalmente deiezioni animali, antibiotici, ormoni, sostanze chimiche delle concerie, fertilizzanti e fitofarmaci usati per le colture foraggere e sedimenti dai pascoli erosi».
Secondo la FAO, «il settore dell’allevamento rappresenta, a livello mondiale, il maggiore fattore d’uso antropico delle terre»: direttamente e indirettamente, la moderna zootecnica complessivamente utilizza il 30% dell’intera superficie terrestre non ricoperta dai ghiacci e il 70% di tutte le terre agricole. Inoltre il settore dell’allevamento ha un sostanziale impatto nella deforestazione (a subire gli effetti immediati della deforestazione legata alla produzione di carne bovina sono soprattutto i popoli indigeni che abitano in quei territori) e nella degradazione del suolo, soprattutto a causa del sovrasfruttamento dei pascoli.
Il contenuto nutrizionale degli insetti dipende dal loro stadio vitale, dall’habitat e dalla dieta. Tuttavia è largamente accertato che:
dlnovel food ha deciso di provare a portare l’allevamento dei grilli a un livello industriale per nutrire una popolazione in crescita, ridurre lo sfruttamento di risorse, ridurre l’impatto ambientale, ricercare una fonte proteica alternativa a quella animale.
dlnovel food ha deciso di puntare sulla farina di grillo per i numerosi vantaggi sopra elencati e per la sua sicurezza alimentare: la farina di grillo non è né a rischio di contaminanti (come le diossine e il metilmercurio del pesce), né a rischio di prioni (come quelli responsabili della “Bovine Spongiform Encephalopathy” o BSE o Mucca Pazza).